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Melanoma: esiste una disparità di genere? Buone notizie per le donne!

L’aumento costante dell’incidenza del melanoma cutaneo è un dato ben acquisito. La disparità di genere, invece, benché sia di comune riscontro negli studi, è un dato meno familiare al grande pubblico. La disparità di genere riguarda sia l’incidenza (quindi il rischio di ammalarsi) che la prognosi (ovvero il rischio di morire) del melanoma. Detto in altri termini: “Chi, fra donne e uomini, ha un rischio maggiore di sviluppare un melanoma?” Ed ancora: “Fra i pazienti con melanoma, il genere rappresenta un fattore prognostico?” Oppure: “I contraccettivi orali, la gravidanza, oppure la terapia ormonale sostitutiva aumentano il rischio di melanoma?” Il tema è sicuramente vasto.

L’epidemiologia del melanoma ha evidenziato delle chiare differenze di genere. A esempio, nel 2014 il sesso femminile ha rappresentato il 42% di tutti nuovi casi (76.100) di melanoma negli Stati Uniti e solamente il 33% di tutti i pazienti deceduti (9.710). La probabilità di sviluppare un melanoma nel corso dell’esistenza è pari all’1,72% nei maschi ed all’1,22% nelle femmine.

Anche dopo una diagnosi di melanoma, le donne sembrano avere un outcome decisamente più favorevole degli uomini, come evidenziato da intervalli di tempo libero da recidive più lunghi e da un minore tasso di mortalità. Queste osservazioni hanno fatto sì che il genere sia considerato come un importante fattore prognostico per il melanoma, ancorché non sia stato ancora inserito nel sistema di stadiazione ufficiale.

Benché i motivi di tale disparità di genere rimangano ancora da chiarire, si stanno delineando alcuni importanti fattori che potrebbero contribuirvi. Questi fattori sono sia di natura biologica (soprattutto ormonale, ma anche genetica) che di natura comportamentale (legata all’uso di lampade abbronzanti).1

Differenze fisiologiche della cute dell’uomo e della donna

La cute dell’uomo e quella della donna presentano alcune differenze interessanti a questo proposito. Ad esempio, differiscono nella risposta agli ormoni estrogeni ed agli androgeni. I primi accelerano la riparazione cicatriziale, migliorano gli stati infiammatori, aumentano lo spessore dell’epidermide ed esercitano un’azione protettiva contro il cosiddetto fotoaging. Gli androgeni, invece, possono promuovere la tumorigenesi del melanoma. La cute delle donne, inoltre, contiene un livello maggiore di recettori per gli estrogeni. Una seconda interessante osservazione riguarda le differenze a livello del sistema immunitario. In genere, le donne hanno livelli maggiori di anticorpi di tipo IgG ed IgM ed anche di linfociti T cosiddetti “CD3+”, una condizione che le rende maggiormente suscettibili alle malattie autoimmunitarie ed infiammatorie, ma meno allo sviluppo dei tumori cutanei. Gli uomini, invece, sembrano maggiormente suscettibili all’immunosoppressione indotta dall’esposizione ai raggi ultravioletti (UV). In fine, gli ormoni sessuali esercitano un’azione differenziale anche a livello delle stesse cellule del sistema immunitario, le quali esprimono recettori sia per gli estrogeni che per gli androgeni.

Estrogeni e melanoma (contraccettivi, gravidanza, terapia sostitutiva)

Il meccanismo maggiormente indagato per spiegare la disparità di genere nel melanoma riguarda soprattutto l’effetto degli ormoni sessuali. La rilevanza del problema è facilmente comprensibile se si considera che circa un terzo delle donne che ricevono una diagnosi di melanoma è in età fertile. L’osservazione dell’iperpigmentazione cutanea tipica della gravidanza e lo stato di immunosoppressione che ad essa si accompagna (necessaria per evitare il rigetto del feto a causa degli allo-antigeni paterni) ha fatto sorgere l’ipotesi che l’assetto ormonale della donna gravida possa influenzare il rischio o il decorso di un melanoma. In realtà, gli studi più recenti non hanno rilevato l’insorgenza di variazioni significative dei nevi durante la gravidanza, sia dal punto di vista dermatoscopico che istologico. Inoltre, lo stato di gravidanza al momento della diagnosi di melanoma sembra non influire significativamente sulla prognosi a parità degli altri fattori di rischio. Ad ogni modo, la gestione delle pazienti con melanoma in gravidanza rappresenta un interessante argomento di dibattito.2 Il counseling in merito ad una futura gravidanza oppure alla terapia ormonale sostitutiva dopo una diagnosi di melanoma è una questione che sta particolarmente a cuore alle pazienti. In genere, il consiglio è formulato sulla base dei fattori prognostici standard del melanoma. In presenza di fattori prognostici favorevoli, il medico curante consiglierà alla paziente di attendere almeno 2-3 anni prima di intraprendere una gravidanza. Ad ogni modo, non vi sono linee-guida univoche al riguardo ed il counseling dovrebbe pertanto essere il più possibile individualizzato sulla base dei seguenti elementi di giudizio: prognosi di malattia, età della paziente, stato di fertilità, possibilità di criopreservazione degli ovociti, supporto familiare disponibile. In fine, l’associazione fra uso di contraccettivi orali o della terapia ormonale sostitutiva e melanoma è stato oggetto di diversi studi ed alcune meta-analisi. Tutti questi studi raggiungono unanimemente il consenso che non vi sia un’associazione significativa fra l’uso di queste terapie ed il rischio di melanoma. Pertanto, un’anamnesi di melanoma localizzato non rappresenta una controindicazione all’uso della terapia ormonale sostitutiva.

Lampade solari: un fattore di rischio maggiore nelle giovani donne

Il melanoma costituisce la neoplasia più frequente nella fascia di età compresa fra i 25 ed i 29 anni. Diversi studi hanno rilevato che una scorretta esposizione ai raggi UV è più frequente nel genere femminile e nelle fasce di età giovanili. La pratica dell’abbronzatura artificiale è andata aumentando fino dagli anni Ottanta. È un dato acquisito che il pregresso utilizzo di lettini solari aumenta il rischio di melanoma in una misura variabile dal 16% al 20% e che l’utilizzo di tali dispositivi prima dei 35 anni di età aumenti ulteriormente questo rischio. Per tale motivo, nel 2009 l’Agenzia Internazionale per Ricerca Sul Cancro (IARC) ha bandito i dispositivi per l’abbronzatura artificiale, definendoli come “carcinogeni” per l’uomo e li ha classificati nel gruppo a pericolosità maggiore. Pertanto, un’efficace campagna educazionale rivolta alle giovani donne ed una severa regolamentazione in campo di apparecchi per l’abbronzatura artificiale rappresentano due interventi strettamente necessari per contrastare l’aumento di casi di melanoma.

Conclusioni

La disparità di genere nel melanoma, sia per quanto riguarda l’incidenza che la prognosi, è un dato assodato a cui contribuiscono fattori biologici (ormonali, genetici) ed ambientali (strettamente legati a quelli comportamentali). Alcune differenze innate per quanto riguarda l’assetto ormonale, il sistema immunitario, e la risposta agli stress ossidativi contribuiscono a tale disparità di genere. Oltre a queste differenze biologiche innate, i fattori comportamentali (nella fattispecie l’esposizione ai raggi UV) contribuiscono, talora in maniera preponderante, a delineare il rischio complessivo di sviluppare un melanoma. È speranza comune che la migliore comprensione di ciascuno di questi fattori potrà permettere, in un futuro non lontano, la conduzione di campagne di screening del melanoma personalizzate e quindi più efficaci.

Per chi vuole approfondire:
1. Roh MR, Cutaneous Melanoma in Women. International Journal Women’s Dermatology 2015.
2. Ribero S, Pregnancy and melanoma: a European-wide survey to assess current management and a critical literature overview. Journal European Academy Dermatology Venereology 2017.

Luca Giovanni Campana
Ricercatore Università di Padova
Medico Chirurgo presso U.O.C. Chirurgia Oncologica
Istituto Oncologico Veneto – IOV

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